Fabrizio Resca

RECENSIONI A POESIE

PREMIO LEANDRO POLVERINI CON IL PATROCINIO DELL’ASSESSORATO ALLA CULTURA DELLA CITTÀ DI ANZIO.

Motivazione della giuria per l’assegnazione del secondo posto nella sezione di poesia ermetica all’opera ‘Bestiario.’
La scrittura dell’Autore ferrarese sembra ricordarci che la poesia è questo: apparizione dell’incongruo, straniamento, un mondo verbale che ci riporta a sentire il mondo che è, esattamente così come non è. Spiazza ogni preconcetto e ci ricorda che la poesia è capacità di creazione transitoria di stati di intensità tragica: nulla più. Ama insomma indugiare sulle soglie ipnagogiche, sulle esperienze vivide e intense tra sonno e veglia, ma è capacissimo di sognare e svegliarsi da solo: una maturità fisiologico-poetica che gli permette di parlare per figure o alla lettera attingendo alla medesima tavolozza espressiva. Il presidente della giuria

Luciano Catella


RECENSIONI A POESIE D’AMORE PER DONNE SENZA INDIRIZZO

La poesia non ha confini né barriere: e i versi splendidi, che emergono da queste pagine, vibrano di autenticità; in questo mondo, spesso ferito da violenze e dove i volti umani si riducono troppo sovente a mere maschere, incontrare il cuore e la grazia di un’anima autentica è un’e-sperienza di cui ciascuno di noi ha bisogno. Infatti, dopo questa lettura, ognuno si sente arricchito e migliore. E, laddove il silenzio vince il confronto con le parole poiché contiene quelle che non esistono, l’Autore ferrarese inventa “un meraviglioso mondo parallelo” (pag. 66). Il presidente della giuria

Luciano Catella

Finalmente ho avuto un po’ di tempo per leggere il tuo libro di poesie, e devo dire che hai come si suol dire il cuore pieno e la mente altrettanto ricca di parole, un lavoro giusto ed equilibrato pur sotto la pressione esistenziale, alcuni testi sono belli soprattutto l’ultimo a pag 87 mi pare una sorta di manifesto, mi piace anche l’idea di usare sempre la stessa immagine con varianti sul tema, come in fondo è anche il libro stesso una variante continua sul tema donna.

(Enzo Minarelli, polipoeta)


RECENSIONI A QUANDO A DILMUN PIOVE

L’Autore ferrarese con felice indifferenza, e spesso all’interno della singola poesia, passa dall’astrazione dell’emblema alla concretezza del dettaglio quotidiano, comprensivo di cronaca e topografia. A causa di questa tendenza a mescolare le carte, il suo discorso poetico fa spesso pensare a una logica di tipo onirico. L’azzardo del destino/ha valore ovunque/e non conosce il colore del vuoto (26). È proprio quest’estetica del transitorio che dona alle parole del poeta quell’inconfondibile tono di calda autenticità che vale più di ogni saggezza, quel sottile ma resistente sentore di una grana della voce annidata da qualche parte, nel più segreto cuore del ritmo.

Il presidente della giuria

In effetti i premi letterari andrebbero sempre visti come il virus che circola di questi tempi assai malandati, quando sto per pubblicare un libro, sempre faccio rigorosamente cancellare dal contratto la voce “partecipazione a concorsi letterari”, per cui concordiamo a pieno, quanto al tuo testo letto ieri notte nel mio periodo di lettura e studio quotidiano, devo dire che la quinta e soprattutto la ultima parte sono quelle meglio riuscite e più efficaci naturalmente secondo il mio personalissimo e molto di parte parere che quindi prenderai con le classiche molle, alla fin fine si arriva sempre al solito punto, più che il dire conta il come  dirlo, infatti nelle parti che ti ho segnalato c’è un simbiotico bilanciamento tra questi due poli, dentro i quali oscilla tutta la poesia.

Il titolo lasciava presagire qualcosa sulla pioggia, o forse era solo una scusa, nel senso che quando piove in questi grandi alberghi che si fa? Si scrive, però ti dai una bella giustificazione storica con referenze sumere, nella fattispecie, e quindi tutto torna, come mi torna in mente un bel libro di Mutis che parlava di Ilona, una bella e attraente donna che si presentava nel bar, dove lui fedele l’aspettava, solo quando pioveva…. quindi la pioggia è sempre qualcosa che complica o semplifica, dipende dai punti di vista.

Em (Enzo Minarelli polipoeta)


RECENSIONI A INSONNI NOTTI

La silloge (Insonni Notti n.d.r.) pone l’immaginario contro il razionale e l’astoricismo contro la storicità, nutrita e mantenuta in vita dalla logica del passato laddove il poeta ha cercato di contrapporre alla ruminazione del senso storico, la libera esistenza di un presente attivo, convinto che l’arte è attività della fantasia, irrazionale e creatrice d’immagini. Sulle tracce della post avanguardia l’Autore ripercorre i sentieri già da altri attraversati, con una visione impressionista che vuole essere presenza e testimonianza dell’estrema periferia dell’impero letterario.”

Tito Cauchi, presidente della giuria

Lo stimolo che porta a scrive questo lungo canto è una lunghissima camminata fatta, in momenti diversi, per le strade di New York. Durante il periodo che va dal settembre 1998 al maggio 2000, una ripetuta serie di viaggi nella metropoli conduce per mano il poeta in un dedalo di strade sconosciute che offrono incredibili opportunità alla fantasia per spaziare fra l’immaginario ed il ricordo, fra la realtà del vivere quotidiano ed il grigiore dei rimpianti.

Come annota Antonio Muñoz Molina nel libro Le finestre di Manhattan, “camminare è uno strumento di conoscenza e un modo di vivere, un esercizio permanente di avvicinamento e lontananza. Il corpo, l’anima, l’immaginazione, lo sguardo, l’attenzione, il ricordo, si uniscono in un solo compito. Camminare è il tempo presente e insieme l’intero passato delle strade già percorse, un tempo eccentrico”.

Le prospettive delle strade e le linee architettoniche dei palazzi incombenti si spalancano come voraci fauci capaci d’ingoiare un piccolo uomo armato solo dei propri pensieri; la voglia di perdersi per le vie senza una meta, ingenera un meccanismo che, scontrandosi col presente di una megalopoli per eccellenza, scioglie le briglie artistiche ad appunti, sensazioni, ricordi e percezioni a ritroso capaci di comporre una sorta di elegia accusatoria e profetica.

“Il viaggiare è il più personale dei piaceri”, scrive Vita Sackville West, “non c’è niente di più noioso del viaggiatore che ti assilla con i suoi racconti”. Ovviamente dipende dal viaggiatore e dal peso che costui conferisce all’esperienza del viaggiare. Per poter dare un impulso al lettore è necessario catturare la sua attenzione, fornendogli motivazioni accessibili attraverso un registro che solo un poeta/ viaggiatore d’eccellenza può fare. Uno degli strumenti accattivanti è sicuramente la capacità di esprimere le proprie emozioni attraverso le personali impressioni, la descrizione dei luoghi e  degli accadimenti,  in maniera tanto vivida da permettere di immedesimarsi in quella stessa circostanza come vivendoli in prima persona; così facendo l’autore riesce a trasmettere tutte le emozioni vissute, sino a quella più recondita, rendendo accessibile a un pubblico d’èlite aspetti arcani e inconfessati.

Viene da domandarsi: perché La Grande Mela e non altre città certamente meglio conosciute dall’autore? New York è nell’immaginario collettivo di tutti, anche di chi non c’è mai stato, ma è stato colonizzato da film, arti visive o letteratura; è la città per eccellenza: la metropoli che non dorme mai, dove i contrasti sono tutto e non sono nulla. E’ un proscenio sul quale ci si può affacciare verso l’orchestra e gli spettatori, lasciando alle spalle gli altri attori; oppure è il teatro dove, da spettatore attento, va in scena uno spettacolo dopo l’altro, contemporaneamente. Lo stimolo per la mente è l’eccitazione stessa di esserci e partecipare allo show, senza decidere da che parte stare, perdendosi, appunto, come fa l’autore: fisicamente e mentalmente.

Scrisse il grande architetto Charles-Edouard Jeanneret-Gris, meglio noto come Le Corbusier: “Cento volte ho pensato che New York è una catastrofe e cinquanta volte che è una bellissima catastrofe.”


RECENSIONI A UN GIRO DI PIAZZA E ALTROVE

Un libro scritto in una fluente prosa equilibrata, carico di valori che la memoria, filo rosso che rinverdisce lontane esperienze di vita, abbraccia in una narrazione in prima persona, che non ha nulla a che fare con il ‘diario’. Fabrizio Resca da raffinato e scaltrito narratore, ben evidenzia ciò dove afferma dei suoi racconti che “non si tratta di un diario”. Infatti nei ventuno racconti che compongono il volume, diviso in due parti, gli eventi narrativi/vissuti (che l’autore ama precisare “attinti solo dalla fantasia”) sono proposti attraverso la loro “risonanza interiore”, che lo sguardo poetico – che rivede e ricompone i lacerti del vissuto – rende immagini attive, mentre il tempo del ‘diario’ li brucia rapidamente.

Un giro di piazza e altrove offre un percorso di vita che è storia che si inquadra nel periodo che va dagli Anni della Ricostruzione all’oggi, attraverso i mitici Anni Settanta, quando il giovane autore pensava “di poter dare un valido contributo per rifare il mondo”. E’ un caleidoscopio variegato che dalle macchiette paesane (i frequentatori dell’osteria del paese, i clienti della bottega del barbiere dove si distribuiscono i calendarietti profumati con immagini di allegre donnine, i …) arriva all’incontro-intervista con Gregorio Fuentes, il comandante del Pilar, il battello da pesca di Hemingway e l’emozionante stretta di mano con Fidel Castro.

La prima parte del libro, per me la più coinvolgente e personalissima, restituisce al lettore un colorito affresco dell’infanzia e adolescenza dello scritto nella narrativa di Bondeno (località mai citata esplicitamente); un affresco che tanto ricorda le spassose e al tempo stesso profonde pagine di Giovannino Guareschi, chiaramente parafrasato quando si legge “Io sono nato […] in un paese dove non succedeva mai nulla”. I temi trattati sono i più vari: la scuola, la storia di un prete spretato, la pesca sul fiume con il padre, gli anziani di una casa di riposo dai cui racconti emerge uno “smisurato sapere popolare”… Da considerazioni e riflessioni dell’autore il lettore è costantemente accompagnato: sono positivi ideali e valori di vita quelli che emergono nelle pagine di Resca, dove si fa pure riferimento al pensiero di grandi scrittori come Tolstoj, Joyce, Shakespeare, Nietszche, Diderot… o al mondo del cinema o della canzone d’autore.

Piace la prosa poetica che emerge nelle descrizioni paesaggistiche, dove il ‘Grande Fiume – il Po’, o i pioppeti o la nebbia padana … trasportano il lettore .ella dimensione alta della poesia. Affascinano le tante metafore che impreziosiscono il linguaggio, così come sorprende la duttilità con cui Resca, in poche righe, descrive un personaggio,scrutato dal quell’ombelico che è la piazza Garibaldi di Bondeno, la piazzache “osserva il cielo come un grande occhio posto al centro del paese”, mentre l’autore “osserva la piazza con gli occhi della (sua) infanzia”.

Nella prima parte del volume ricorrono tante espressioni in dialetto ferrarese, che pur forti nei contenuti, non risultano mai volgarmente offensive alla sensibilità del lettore. Anzi, esse creano un movimento interno che vivacizza la narrazione attraverso l’immediatezza del dialogo popolare.

Interessante è pure la seconda parte del libro, in cui l’esperienza del viaggio (viaggi di lavoro) porta l’autore a vivere conoscenze nuove, in luoghi lontani in tante parti del mondo. Si sa infatti che le esperienze più coinvolgenti difficilmente avvengono nel luogo di residenza, ma piuttosto quando il movimento nello spazio fisico porta ad un movimento mentale e psicologico, anche se è pur vero il contrario. Così si spiegano le tre righe finali del libro, dove Resca scrive: “Il viaggio è lo yin e lo yang; il respiro che si spande sulle montagne e scivola verso vale; è la pace di un domicilio ovunque nel mondo; ma soprattutto è lo sguardo rassicurante che si perde nell’infinito della pianura, sulle radici delle piante, sulle acque del fiume: verso casa”.

Gianna Vancini, Presidente del Gruppo Scrittori Ferraresi


RECENSIONI A SMS ERMITAGE

A distanza di qualche settimana dalla fine di un breve periodo trascorso fra San Pietroburgo e Mosca, l’Autore ritrova nel file ‘bozze’ del suo telefono cellulare una serie di versi sciolti che lo riportano, quasi con violenza, all’intimità dei momenti in cui sono stati scritti. Una sorta di falsi aikù, storpiati nella metrica e nella composizione dettata dalle regole poetiche, scritti con ermetico candore e necessariamente scarniti per essere spediti via SMS (Short Message System, ovvero il sistema di telefonia mobile per l’invio di brevi messaggi) a chi potesse condividere, di lontano, i momenti più tesi espressi dalle parole.

Saltuarie frasi di profondo eremitaggio – spirituale più che fisico – vissute nella città di San Pietroburgo, della quale subisce, da oltre vent’anni, i repentini cambiamenti come fossero ferite inferte alla sua memoria, in perenne corso di cicatrizzazione, ma mai completamente rimarginate.Versi ovviamente mai spediti e riletti, rimasti in custodia nella memoria artificiale del telefono a sostentare l’archivio delle emozioni non disperse nonostante gli anni di continue rivisitazioni degli stessi luoghi, ancora più isolati e solitari di quanto non fossero per Caterina la Grande le sue visite private all’interno del museo Ermitage; sono parole scritte – e lo si avverte vibrare – nella foga di racchiudere in sintesi letteraria sensazioni molto più forti di ciò che i versi possono in realtà contenere, ma sempre in coerente simbiosi con la città stessa, in sintonia con il paesaggio circostante al momento della stesura, sulla lunghezza d’onda delle persone di passaggio: insieme, ignari bersagli dei  pensieri più remoti dell’Autore.


RECENSIONI A PENSIERI SELENICI

Con Fabrizio Resca entriamo in una specie di laboratorio fenomenologico. Da una parte una trapunta di email scritte in parti diverse del mondo (Danzica, Dubai, Shangai) e mai giunte a destinazione (tentativo fallito) e dall’altra la parola che non vuole fallire ma si presenta sempre come estensione di un io “parassita di se stesso ma sovente innocuo” come lui stesso lo definisce. I tentativi falliti di scrittura rimangono sospesi in una realtà di carattere virtuale che però racconta fenomeni materici (mattoni scuri, gocce sottili, pioggia salata) e allo stesso tempo si conciliano con la dinamica di un io, quello del poeta, che si vede vivere  e si racconta come  complemento oggetto , phenomenon di un reale esperito dal di dentro: “Ho tasche profonde dove ascoltare pensieri semplici e fantasie, occhiali scuri per nascondere un mondo avvolgente di vacue notizie…ho avuto in eredita il senso della vita e un giocattolo chiamato rispetto” E ancora :” Siamo fatti della materia delle stelle incanti dell’oscurità e nudi nella luce , per poi finire con :” Ho trovato il mio destino\ nel pugno della mano\ che il vento ha aperto \ con la forza di un sospiro\ nonostante tutto.

(motivazione del 1° premio)

Il 20 giugno scorso, presso la sede del Circolo Culturale ‘Ilfilorosso’ di Cosenza, il poeta e scrittore bondenese Fabrizio Resca ha partecipato alla cerimonia di premiazione durante la quale gli è stato assegnato il 1° premio per la sezione silloge edita del prestigioso premio letterario ‘F. Graziano, 2018.

Con la sua placchette ‘Pensieri selenici’ (ed. Limina mentis, 2017), l’autore aggiunge un altro premio ai suoi già numerosi riconoscimenti. Queste le parole con le quali la professoressa Annalisa prof.ssa Saccà, docente di letteratura italiana presso la St. John’s University di New York e portavoce della giuria, ha motivato il premio: “Con Fabrizio Resca entriamo in una specie di laboratorio fenomenologico. Da una parte una trapunta di email scritte in parti diverse del mondo […] e mai giunte a destinazione (tentativo fallito) e dall’altra la parola che non vuole fallire ma si presenta sempre come estensione di un io “parassita di se stesso ma sovente innocuo” come lui stesso lo definisce. I tentativi falliti di scrittura rimangono sospesi in una realtà di carattere virtuale che però racconta fenomeni materici (mattoni scuri, gocce sottili, pioggia salata) e allo stesso tempo si conciliano con la dinamica di un io, quello del poeta, che si vede vivere  e si racconta come  complemento oggetto , phenomenon di un reale esperito dal di dentro: “Ho tasche profonde dove ascoltare pensieri semplici e fantasie, occhiali scuri per nascondere un mondo avvolgente di vacue notizie […] ho avuto in eredità il senso della vita e un giocattolo chiamato rispetto”.

Quando sostengo che fare poesia (nel mio senso di anti-«poesia») deve essere un atto di cultura, che i versi devono avere la complessità di un saggio e chi li scrive deve essere un intelle(a)ttuale, mi danno dell’arrogante.

Come se chi scriva versi debba solamente improvvisare.

Chi scrive un trattato di filosofia, o di economia, deve essere preparato, avere alle spalle anni di lettura e di esperienza. Chi scrive versi, si sente in diritto di prescindere da un solido approfondimento di base.

La mia democrazia lirica non è la Democrazia dell’Amplifon («la lira a due lire»). Chi usa i suoi versi per esprimere emozioni e valori è meritevole, facendo etica. L’artista è altro.

Ivan


Recensione Pensieri on the road (again) Itinerari e luoghi marzo 2021


Recensione “Odore di Russia” tratta dalla rivista Itinerari del marzo 2021